Common ground / Fundamentals

Il tema della Biennale di architettura di Venezia è spesso uno spunto o un pretesto per cercare di guardare la nuova architettura e più in generale, allargando lo sguardo, la trasformazione della città, da una prospettiva sempre diversa. Nonostante gli sforzi, a volte anche originali, di cambiare il punto di vista, ciò che noi osserviamo rimane però sempre e comunque la stessa cosa: il progetto. Il nostro “terreno comune” è, infatti, proprio questo. Solamente intorno al progetto, chi si occupa di architettura e chi cerca faticosamente di farla, riesce a convergere formando una “comunità” che si propone di crescere facendo proprie le esperienze reciproche. Questa è, e dovrebbe essere, la comunità degli architetti, e questo è lo spirito che ci unisce ed accomuna. L’architettura è una disciplina collettiva, che presuppone però una capacità di condividere una visione comune.
Ci sono molti generi musicali, ma chi si occupa di musica riesce a leggere e comprendere qualsiasi tipo di spartito. Allo stesso modo ognuno di noi può perseguire diverse modalità per realizzare il proprio lavoro, ma ci confrontiamo parlando la stessa lingua, la lingua dell’architettura. Il confronto può anche essere profondo ed animato, ma non vi è spazio per mettere in discussione il processo incrementale della disciplina architettonica e la conseguente inevitabilità del contemporaneo, condizione necessaria per chi intraprende questa professione con un senso civile e culturale.

L’architettura non è un fatto isolato, né dal punto di vista pratico né dal punto di vista intellettuale. Coinvolge, infatti, il territorio e la società cogliendone sensazioni, influenze e intenzioni comuni. Per questo David Chipperfield, direttore della XIII Biennale di Venezia, tenutasi nel 2012, aveva dichiarato di voler capire come il lavoro degli architetti incide sulla società, al di là dei singoli percorsi professionali: “mi interessa tutto ciò che gli architetti condividono, dalle condizioni della professione alle influenze, alle collaborazioni, alle storie e alle affinità che definiscono e contestualizzano il nostro lavoro”. “Negli ultimi 15-20 anni - proseguiva Chipperfield - si registra una spropositata produzione di opere di architettura: musei, stazioni, areoporti, che considerati singolarmente sembrerebbero dimostrare l’eccellente stato di salute dell’architettura contemporanea. Ma il restante 99,9 % del costruito, basta guardare le nuove case o gli spazi pubblici, è inqualificabile”.
Se esiste quindi un "Common ground", una cultura architettonica comune, costituita non soltanto dai singoli talenti ma anche da quel ricco patrimonio di idee e di storie comuni, esiste forse anche un'incapacità degli architetti di essere i principali interlocutori della committenza pubblica e privata che ha nelle proprie mani la responsabilità di costruire la città di domani. I pochi esempi concreti che rappresentano l'eccellenza dell'architettura non riescono infatti a bilanciare una produzione edilizia di scarsa qualità, frutto del lavoro di tecnici incapaci e poco sensibili. In questo senso il tema delle competenze tecniche è di assoluta attualità. Le mansioni tecniche, sempre più confuse e poco chiare anche a causa delle recenti riforme dei corsi di studi, richiedono uno sforzo di semplificazione e chiarezza per evidenziare molto semplicemente che per ogni progetto, sia esso una scuola come un museo, un ponte come una qualsiasi l'altra infrastruttura, necessita della competenza dell'architetto come allo stesso tempo anche quella dell'ingegnere, del geologo, del paesaggista ecc.. Proprio perché il nostro operato incide e trasforma il territorio in cui viviamo è necessario che per lavorare in quel "terreno comune" vi siano il reciproco riconoscimento e la valorizzazione delle specifiche competenze e capacità.

In questo senso il tema scelto da Rem Koolhaas, "Fundamentals" per la prossima Biennale del 2014, si concentrerà sull'evoluzione dell'architettura negli ultimi cento anni, ovvero proprio su ciò che noi siamo, sulla nostra recente esperienza e produzione tecnica ed artistica. La ricchezza del repertorio di fondamenti dell'architettura è costituita - sottolinea Koolhaas - proprio "dagli inevitabili elementi di tutta l'architettura utilizzati da ogni architetto, in ogni tempo e in ogni luogo ( la porta, il pavimento, il soffitto ecc..)". La concretezza dei materiali con cui l'architetto lavora sono i testimoni di un processo di annullamento delle specifiche caratteristiche locali in favore di un più generico "linguaggio moderno" all'intero di un singolo repertorio di tipologie, come saranno invitati a testimoniare i singoli padiglioni riuniti sotto un unico tema “Absorbing Modernity: 1914-2014”.

Rispetto però al possibile appiattimento della memoria culturale ed all'annullamento delle specificità locali, evidenziate da Koolhaas, l'architettura alpina può rappresentare una delle eccezioni da presentare nella rassegna veneziana. L'evoluzione del linguaggio contemporaneo alpino è oggi giunto ad un importante punto di maturità. Non a caso la pubblicistica nazionale ed internazionale osserva con sempre maggiore attenzione ed interesse ciò che accade nelle sperdute valli svizzere, austriache ed altoatesine. Sta a noi quindi sostenere ed interpretare questo fenomeno e trasmettere ai nostri referenti e committenti che esistono le risorse tecniche e culturali per costruire il cambiamento. Ciò non si ottiene però facendo ricorso a scorciatoie che limitano l’azione ed il ruolo dell’architetto, come nel caso dell’utilizzo di appalti integrati e project financing oppure dell’assegnazione degli incarichi solamente seguendo parametri economici.
Se vogliamo quindi costruire un "Common ground" lo possiamo fare solamente avendo come nostro unico e principale obiettivo la qualità del progetto e la valorizzazione delle competenze e professionalità.

Alberto Winterle _Editoriale a 1|2013