L’in-sostenibile leggerezza dei professionisti

Questo numero della rivista prosegue un ragionamento, iniziato nel numero precedente, relativo ai temi della sostenibilità energetica degli edifici. Si tratta di tematiche ormai conosciute e riconosciute, che vanno in una corretta direzione di risparmio energetico, contenimento delle emissioni e, più in generale, di miglioramento della qualità dell’abitare. Lo stesso non si può invece dire per un altro aspetto che rimane ancora tutto da affrontare e da risolvere: ovvero la capacità e la possibilità di riuscire a raggiungere una altrettanto elevata evoluzione della qualità architettonica degli edifici pubblici e privati. In una naturale sequenza evolutiva per cui allo sviluppo dei materiali e delle tecniche costruttive corrisponde anche una crescita dell’articolazione formale dell’architettura.

Quello che rimane quindi ancora in-sostenibile è la bassa qualità diffusa dell’architettura contemporanea della nostra provincia, le cui cause vanno forse ricercate anche nel nostro operato di professionisti. In questi due anni e mezzo di attività il Consiglio ha cercato in diversi modi ed in molte occasioni di incalzare i principali referenti politici ed anche i funzionari che occupano ruoli strategici per la nostra professione nei lavori pubblici e nell’urbanistica. L’obiettivo che abbiamo posto come irrinunciabile è stato quello di richiedere di valutare le nostre prestazioni, e quindi di conseguenza di assegnare degli incarichi tecnici, non solamente sulla base di parametri economici ma privilegiando parametri di qualità, consci del ruolo culturale oltre che tecnico della nostra professione. Gli architetti, infatti, non sono dei semplici prestatori di servizi, ma soggetti in grado di proporre progetti unici e quindi non comparabili economicamente.

In questo senso l’utilizzo dello strumento del concorso di progettazione, che abbiamo promosso con forza, è uno dei possibili modi per avviarsi in questa direzione. Dobbiamo solamente abituarci a nuove modalità di affidamento degli incarichi, che di fatto si devono adeguare ad una realtà economica che in questi ultimi anni è radicalmente modificata, non essendovi prospettive di ritorno ai “bei tempi andati” dove c’era lavoro per tutti. Oggi è inevitabile un processo di selezione dei professionisti che deve però essere basato su criteri di qualità della prestazione professionale e dell’architettura. Le nostre istanze sono state in parte recepite dalla nuova amministrazione provinciale che sta attivando alcune iniziative di revisione normativa e di definizione di protocolli che dovrebbero semplificare l’iter burocratico dei progetti e favorire una maggiore qualità delle opere. A questo stiamo lavorando insieme agli altri ordini professionali con l’obiettivo di arrivare, a breve, all’attivazione di concrete iniziative.

Riguardando indietro, mi accorgo però che forse abbiamo sbagliato indirizzo. Se la qualità generale nell’edificato non è particolarmente alta la colpa non va cercata “solamente” fra gli amministratori, i funzionari pubblici, i committenti privati o nella scarsa competenza di chi valuta i nostri progetti. Certamente ognuna di queste categorie ha le proprie responsabilità, ma la colpa è “anche” nostra. In questo ultimo decennio, abbiamo avuto molte opportunità che spesso non siamo stati in grado di sfruttare adeguatamente. Se non vi è stata un’evoluzione generale del linguaggio architettonico ed una maturazione culturale sia degli addetti che dei committenti, forse una buona parte di responsabilità è nostra. Forse non siamo stati sufficientemente efficaci: abbiamo dedicato il nostro tempo a coltivare rapporti e relazioni pubbliche piuttosto che concentrare le nostre energie nella qualità dei nostri progetti; abbiamo preferito la comodità dell’incarico diretto piuttosto che reclamare chiare regole per l’affidamento degli incarichi, basate sulla qualità. La conseguenza di questo è che l’evidente mediocrità del livello medio della nostra edilizia è causato proprio dall’assenza di un fruttuoso confronto e quindi di un “allenamento” continuo dei professionisti. A ciò si aggiunge il fatto che se ora siamo stritolati dalla burocrazia, è perché è stato necessario ricorrere a continui approfondimenti e aggiornamenti normativi per evitare interpretazioni “creative” e ricorsi basati su cavilli legali o vizi di forma delle norme. Se ora non siamo in grado di portare a termine un progetto e la realizzazione di un‘opera riuscendo ad avere un adeguato compenso è perché con la liberalizzazione del mercato, con la cancellazione dei minimi tariffari e poi anche delle tariffe stesse, molti colleghi hanno “svenduto” le proprie prestazioni in una dannosa gara al ribasso. E nonostante ciò sia successo, a volte, a causa della disperata necessità di ottenere un incarico, questo atteggiamento ha definitivamente pregiudicato la dignità della nostra professione. Dobbiamo tenere bene presente che ogni volta che qualcuno ha proposto un ribasso insostenibile ha di fatto mortificato la nostra professione, barattando la sua nobiltà per logiche di piccolo cabotaggio, capaci solo, a lungo andare, di rovinare l’intera categoria. Se si registra una diffidenza di molti committenti privati nei nostri confronti, è perché abbiamo operato male, magari approfittando del nostro ruolo fiduciario con il committente, contrattando con i fornitori per “arrotondare” il nostro compenso. Se vi è una continua confusione dei ruoli e delle competenze delle diverse figure che concorrono nel mondo delle costruzioni, è perché non vi è un coerente rispetto dei propri spazi d’azione. I diversi compiti che devono corrispondere ai diversi percorsi di formazione, non ci devono mettere l’uno contro l’altro in un campo da gioco in cui tutti fanno tutto giocando tutti i ruoli, ma ci devono permettere di agire come una vera squadra dove, per ogni partita, e quindi per ogni progetto, sono coinvolte tutte le figure professionali, ognuna nel proprio ruolo.

Vista la drammatica difficoltà delle libere professioni in questo particolare momento storico, e vista la grave contrazione degli investimenti, pubblici e privati, sta innanzitutto a noi, prima di scomodare amministratori e funzionari tecnici comunali, difendere la dignità del nostro operato. Questo si può fare se siamo tutti disposti ad operare nel rispetto dei reciproci ruoli delle diverse figure professionali, se siamo disposti a confrontarci sul campo delle idee e del progetto e non su quello economico del massimo ribasso, se siamo disposti a comportarci con professionalità ed assoluta correttezza e trasparenza nei confronti dei committenti pubblici e privati, se siamo disposti a limitare drasticamente gli sconti sulle nostre prestazioni sapendo bene quale carico di lavoro e di responsabilità spetta a chi svolge un incarico professionale, se siamo disposti a favorire un sistema trasparente e meritocratico per l’assegnazione degli incarichi, se siamo disposti, infine, a far valere il nostro ruolo intellettuale di figure capaci di individuare idee, prospettive, immagini, in una parola “progetti” per il futuro della nostra società.

Proprio su questa “disponibilità”, prima di tutto etica e morale, si misurerà, nei prossimi anni, la forza della nostra categoria. L’alternativa è quella di avviare una guerra tra poveri, fondata sulla mortificazione della professione, e che alla fine non lascerà che macerie. Proprio il contrario dell’Architettura.

Alberto Winterle
Presidente Ordine Architetti PPC _Editoriale a 1|2014